Cosa vedere nella contrada della Selva
Bentrovati a Siena, questa settimana abbiamo una contrada che di nuovo non ha rivali, anche se ne ha avute in passato (per esempio la Pantera) e anche se oggi ha un rapporto diciamo difficile con l’Oca, per ovvi motivi di confine: non c’è niente di ufficiale, ma durante il Giro per la Festa Titolare la Selva non va dalla consorella tricolore. Parlando dei nostri tre MUST SEE, il territorio è abbastanza piccolo, ma ricchissimo, e per evitare i grandi monumenti abbiamo dovuto davvero faticare, ce ne sono troppi! Ma pur schivando a destra e sinistra, abbiamo trovato angolini e chicche artistiche di tutto rispetto, e la classifica, come sempre, è venuta giù molto facilmente. Per cui, ecco qua la top 3, e buona lettura!
Le tre cose da vedere nella Selva
N°3: Palazzo Arcivescovile
Questa è l’unica parte della piazza appartenente alla contrada (il resto è nel territorio dell’Aquila), e non è quello che sembra. Anzi, personalmente lo utilizzo spesso per mostrare ai visitatori cosa vuol dire “neogotico” e come la città abbia scelto, nel corso dei secoli, di mostrarsi coerente con il suo passato più glorioso, ristrutturando o edificando nello stile che aveva scelto per autorappresentarsi.
All’inizio della storia della cattedrale qui c’era l’edificio dei canonici, con un grande cortile, dove abitava anche il Rettore dell’Opera del Duomo, mentre la Curia Arcivescovile era attaccata al Duomo ma dalla parte opposta, occupando parte della piazza di fronte al Palazzo della Provincia (che fu costruito dai Medici come sede del loro Governatore in città). La zona intorno al Duomo fu completamente stravolta per volere di Papa Chigi, Alessandro VII, a metà ‘600: unì l’utile al dilettevole, perché si disfece di due edifici ormai datati e non in grande stato di conservazione, la Canonica e l’Arcivescovado e, spostando i pezzi del puzzle, creò lo spazio per aggiungere, a lato del transetto destro, la maestosa e ricchissima Cappella Chigi, detta poi Cappella del Voto, alla planimetria della Cattedrale.
Quindi, come dicevamo, la canonica con il suo chiostro trecentesco sparì, al suo posto fu eretto il nuovo Palazzo Arcivescovile, mentre il vecchio fu abbattuto lasciando lo spazio per la cappella di famiglia. E, per costruire la casa del vescovo si usò lo stile neogotico, in tempi del tutto non sospetti, cioè quando ancora in Inghilterra e Germania il neo-medievale era appena agli inizi: la facciata ha bifore archiacute, anzi con arco senese, e la decorazione bicroma in bianco e nero la rende un pendant perfetto per Santa Maria Assunta.
Ci sono due curiosità su questo palazzo: tradizione vuole che nel chiostro sia stato seppellito Giovanni Pisano: malgrado lo scultore nel 1297 sia andato via da Siena in modo frettoloso e alquanto misterioso, il suo legame con la città rimase tale da fagli scegliere la piazza del suo Duomo come sepoltura privilegiata, e una lapide murata nel fianco sinistro della chiesa lo proverebbe. Inoltre, la cappella tardobarocca che si trova all’interno del palazzo è dedicata a San Biagio da quando con Pietro Leopoldo fu soppresso il feudo vescovile di Murlo, il cui santo protettore era appunto il vescovo martire, e la reliquia conservata in Val di Merse adesso è dentro questa cappella. Il palazzo ha subito molti rimaneggiamenti, fu occupato in epoca napoleonica, ed è normalmente chiuso. Però ogni 3 febbraio, giorno di San Biagio, è aperto al pubblico: approfittatene!
N°2: Piazzetta della Selva
Si scende dalla scaletta stretta e buia accanto alla Casa delle Balie, proprio all’inizio di via dei Fusari, e ci ritroviamo nella Piazzetta della Selva, cuore pulsante della contrada. Qui c’è l’ingresso dell’Oratorio, del Museo e anche la fontanina, ma secondo me la bellezza sta tutta – non me ne vogliano i selvaioli – nell’affaccio in valle, e nel bastione del Santa Maria che si erge sopra di noi. Da Piazza Duomo non si riesce ad apprezzare la mole mastodontica dello spedale senese, che invece qui si manifesta appieno.
L’edificio si innalza piano su piano, e basta affacciarsi oltre l’angolo ad abbracciarne la lunghezza per capire quante soprammissioni, variazioni, ricostruzioni abbia subito nel corso dei secoli. Accanto alle finestre o alle logge gotiche spesso tamponate si alzano contrafforti atti a sostenere queste altezze sempre crescenti, anche in contrapposizione alla valle che si apre subito sotto.
La piazzetta risulta essere quindi quasi una pausa, una piccola boccata d’ossigeno fra questo salire e scendere vertiginoso, perché il cosiddetto Fosso di Sant’Ansano che si spalanca a destra è ripido, e scende per diversi metri fino alla cintura delle mura cittadine. È oggi ben tenuto, e lo deve essere sempre stato se qui c’erano gli orti dello Spedale, che garantivano, insieme alle derrate provenienti dalla campagna, l’autosufficienza alimentare della struttura. Inoltre qui c’era anche l’orto dei semplici, cioè delle spezie, rare o meno, con cui si producevano infusi, decotti e medicamenti: l’incunabolo, in pratica, dell’Orto Botanico.
La valle ha avuto anche i suoi episodi cruenti e momenti bui, due fra tutti: la tortura inflitta al giovane Ansano, colpevole di essere cristiano e di aver battezzato i pagani senesi, in quel del 303; ma il calderone di pece bollente non sortì effetto alcuno, anzi si rovesciò e spense le fiamme, e per spengere la sua vita dovettero tagliargli la testa (ma questo successe a Dofana, ed è un’altra storia).
E poi, nel triste 1348, anche qui si ammassarono i corpi delle centinaia, migliaia di persone morte di peste, quando i luoghi normalmente deputati non bastarono più a contenerli: secondo quanto ci dice Agnolo di Tura i cadaveri erano così tanti che si buttava poca terra sopra, come formaggio sulla pasta, per poi sommarne subito sopra un altro lugubre strato, ed i cani potevano raggiungere i corpi senza neppure scavare, e farne scempio.
N°1: Palazzo Casini
In via dei Pellegrini il palazzo più famoso è certo il Palazzo del Magnifico, residenza del “tiranno” di Siena Pandolfo Petrucci. Ma le vicende storiche e l’incuria dei vari proprietari l’hanno depredato di pressappoco tutte le sue meraviglie, mentre poco prima, sul lato opposto della via, si erge Palazzo Casini Casuccini, che invece conserva in una stanza del primo piano qualcosa di meraviglioso: un soffitto affrescato da Domenico di Pace, detto il Beccafumi, nel 1519.
La commissione non arrivò, come credeva il Vasari (che tanto lodò quest’opera) dalla famiglia Agostini, proprietaria dell’immobile al tempo in cui lui scriveva la “Vita del Mecherino”. Marcello Agostini l’aveva acquistato nel 1554, e il figlio Ippolito commissionò la decorazione di alcune sale al piano terra, oltre a creare una raccolta di memorabilia sull’esempio, in piccolo chiaramente, di quella di Francesco I Granduca di Firenze.
L’affresco del Beccafumi risaliva invece alla committenza della famiglia Venturi, alleata dei Petrucci e facente parte della cerchia egemonica a Siena a inizio ‘500. La famiglia negli anni ’20 si alleò diciamo col ramo sbagliato dei Petrucci (dopo la morte del cardinale Raffaello Petrucci i due cugini, Francesco figlio di Camillo e Fabio figlio di Pandolfo si affrontarono ed il primo ebbe la peggio) e ne seguì la sorte imboccando la via dell’esilio. Ma lo stemma al centro del soffitto non mente, e probabilmente la commissione arrivò per il matrimonio di Alessandro Venturi e Bartolomea Luti, che si svolse appunto nel 1519. I temi scelti furono episodi storici e mitologici presi dagli Uomini Illustri di Valerio Massimo e dalle Metamorfosi di Ovidio. C’è una netta preponderanza di figure allegoriche o storiche femminili, che affiancano ogni episodio, racchiuso in esagoni o vele, e ciò è strettamente collegato all’evento che si voleva magnificare, il matrimonio del rampollo.
Il Beccafumi si dimostra aggiornatissimo sulle novità romane: le due scene centrali, la Contingenza di Scipione e Zeusi con le fanciulle di Crotone fingono due arazzi appesi al soffitto, come aveva fatto Raffaello nella Loggia di Amore e Psiche svelate al pubblico proprio il 1 gennaio 1519. E nella scena della Fuga di Enea l’incendio di Troia ricalca l’Incendio di Borgo, sempre di Raffaello ma per le Stanze della Segnatura in Vaticano.
L’effetto finale è sconvolgente, e se il pittore aveva già lavorato per Pandolfo e altre famiglie senesi, questo affresco gli aprì le porte delle maggiori commissioni cittadine, fino alla decorazione della Sala del Concistoro di Palazzo Pubblico, sempre scegliendo esempi civici desunti dalla storia romana, sulla scia degli affreschi, precedenti di oltre un secolo, di Taddeo di Bartolo nell’Anticappella dello stesso Palazzo. L’affresco è perfettamente conservato, e si trova in un appartamento privato, quindi rarissimamente visibile, ma rappresenta una meraviglia assoluta, dai colori caleidoscopici e fantasmagorici, e dalle invenzioni mirabolanti. Oro tutta la vita!