Cosa vedere nella contrada dell’Istrice
Bentornati a Siena! Oggi rimaniamo nella punta nord, in quel cuneo di Siena proteso verso il Chianti e quindi, storicamente, verso Firenze. Perché a difendere i nostri confini settentrionali c’è l’Istrice, il cui motto recita “sol per difesa io pungo” (sì esatto, ogni contrada ha un motto che la descrive, a parte la Pantera che ne ha due).
Ed in effetti questo nostro viaggio fra i tre MUST SEE dell’unico rione che si veste di quattro colori sarà all’insegna della guerra, e non solo di difesa. Essendo forse l’unica zona di Siena relativamente pianeggiante la Repubblica ha dovuto dotarla di fortificazioni imponenti – non per niente qui c’erano un Antiporto e una nutrita Castellaccia a protezione della stessa Porta Camollia – e via via sempre aggiornate alle nuove tecniche di battaglia, per cui non possiamo non tenerne conto nella nostra sempre personalissima classifica. Partiamo!
Le tre cose da vedere nell’Istrice
N°3: Vicolo dello Sportello
Quando si arriva in fondo a via Montanini, prima di risalire su per via Camollia, sulla sinistra si apre un vicoletto, abbastanza insignificante, a cui si accede entrando sotto un arco. Un tabernacolo della bottega dei Mazzuoli raffigurante la Vergine (e chi altrimenti?), appena restaurato dalla contrada, ne protegge l’accesso. Dopo pochi metri la strada si allarga in una rampa che costeggia il caseggiato e spunta nel marciapiede di fronte ai giardini della Lizza.
E come mai siamo qui a dargli la medaglia di bronzo? Perché lo stesso nome “vicolo dello sportello”, ci ricorda che qui c’era una porta cittadina, la Porta di San Prospero, che dalla zona di Fontegiusta a nord (ne parleremo dopo) si ricongiungeva al poggio dei Malavolti, andando verso città. Era una porta fra le meno imponenti, che affacciava sulla profonda valle del Rastrello e poi conduceva al colle di San Prospero. La porta col suo baluardo fu gravemente danneggiata durante la Battaglia di Camollia (1526), e con le sue pietre fu costruita la chiesa di San Giacomo in Salicotto, ora oratorio della Torre. Adesso non esiste più niente, e la strada ha assunto la sua fisionomia all’inizio del ‘700, dopo che il “Senesino”, cioè Francesco Bernardi, costruì qui il suo palazzo familiare pagato con i proventi delle sue lunghe e fortunate tournée nei teatri di tutta Europa – era infatti un cantante lirico, un castrato, apprezzatissimo per esempio da Händel.
Ma la porticciola assurge agli onori della cronaca quando nel 1552, per la precisione il 27 luglio, viene utilizzata dai Senesi per assaltare la fortezza spagnola, costruita a suon di esose tasse imposte alla popolazione, dal comandante delle truppe di Carlo V, Don Hernando de Mendoza, che fa finta di costruire una fortezza per difendere Siena quando invece il suo intento era di tenere la città sotto scacco. E nelle due tavolette di biccherna ora all’Archivio di Stato (se non sapete cosa sono le biccherne scriveteci, magari faremo un articolo apposito per spiegarlo) si vede benissimo la gente, uomini e donne, che dalla città attraverso la porta si lanciano contro la muraglia per abbatterla con ogni mezzo possibile, anche le nude mani. Se volete sapere dov’era di preciso la Fortezza Spagnola (che niente ha a che spartire con quella Medicea visibile oggi), dovete andare dietro il Tribunale, ne vedrete i pochi ruderi lasciati dai fieri senesi.
N°2: Porta di Bartolomeo Guerra
Prima ho nominato la Battaglia di Camollia, e quest’evento dà origine alla nostra medaglia d’argento, la porta cosiddetta di Bartolomeo Guerra. Siamo lungo via Malta, una strada che costeggia dall’interno le mura cittadine, sulla destra entrando da Porta Camollia. Arrivati ad un certo punto il tragitto devia a sinistra mentre lungo le mura un cancello vieta di proseguire: si entra infatti nel giardino della parrocchia di San Pietro alla Magione, la bellissima chiesa romanica lungo via Camollia. Ma se guardate attentamente il muro, vedrete che c’è ancora ben leggibile l’arco di una porta, ora murata. Ecco, questa apertura nell’ultima cinta muraria era una specie di “porta privata” di tale Bartolomeo Guerra, che potendo entrare e uscire quando voleva aveva anche l’indubbio vantaggio di non passare dal dazio comunale, e quindi di non pagare le tasse sulla merce trasportata. Per ovviare a ciò questa, come altre piccole aperture, verso il 1360/70 fu chiusa dal Governo della Repubblica, con l’altro indubbio vantaggio di poter meglio difendere la città, concentrando le guarnigioni su un numero minore di aperture.
Ma ancora una volta, ci volle una battaglia per farla diventare famosa. Il 25 luglio del 1526 Siena era sotto assedio delle truppe papali di Clemente VII e di quelle fiorentine (Clemente altri non era che Giulio de’ Medici). L’esercito senese, di fronte alla più numerosa compagine assediante, tenta il tutto per tutto: riapre la porta di Bartolomeo Guerra e fa una sortita inaspettata da sinistra, aggirando l’esercito accampato di fronte a Porta Camollia e sorprendendolo da dietro. La vittoria fu insperata e schiacciante, tanto che il Palazzo oggi all’inizio di via Cavour è detto “Dei Diavoli”: si tramanda che i fiorentini, vedendosi arrivare addosso i soldati senesi all’improvviso, come emersi dagli inferi, pensassero di essere assaliti da veri e propri diavoli.
N°1: Chiesa di Santa Maria in Portico a Fontegiusta
E’ stato arduo non assegnare neppure una posizione alla chiesa di San Pietro che ho nominato qui sopra, visto poi che ha una storia molto affascinante. Ma questa, con la sua intitolazione lunghissima, si merita l’oro senza discussione.
Intanto, Fontegiusta viene dal latino iuxta fontem, cioè “vicina alla fonte”, la famosa Fonte di Malizia citata da molti documenti ma la cui ubicazione ad oggi rimane ancora incerta, e che rimase probabilmente senza acqua con la costruzione del Bottino Maestro di Fonte Gaia. Comunque, un tempo al posto della chiesa c’era la Porta di Pescaia, un altro accesso alla città, questo sì assolutamente regolare e munito sia di gabbiotto del dazio che di un tabernacolo mariano a protezione. Proprio lì davanti tale Giovanni Gianfigliazzi, figlio di un fuoriuscito fiorentino, nel 1430 circa fu assalito nottetempo da alcuni balordi, e si salvò miracolosamente pregando l’immagine della Madonna.
Il culto crebbe velocemente, e quel piccolo tabernacolo, dipinto da Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, due pittori senesi del Secondo Trecento, ricevette diverse donazioni: si pensò di glorificare la Vergine colla costruzione di una chiesa. Inizialmente il Gianfigliazzi e la Confraternita appositamente costituita eressero un oratorio, ma la vittoria di Poggio Imperiale ottenuta contro i Fiorentini il 7 settembre 1479 a Poggibonsi, il giorno prima della festività, così importante a Siena, della Natività di Maria, indusse la città a innalzare una chiesa, una Hallenkirke unica in città.
Si tratta di una chiesa a tre navate in cui quelle laterali hanno la stessa altezza di quella centrale, come il Duomo di Pienza, per intendersi, molto comune nel Nord Europa ma non certo dalle nostre parti, ed infatti, l’architetto fu un certo Cristoforo Fedeli da Como. Per allungare ancora di più il nome, all’intitolazione fu aggiunto in quell’occasione, grazie a Papa Sisto IV, notoriamente avverso ai Medici, l’appellativo “delle Grazie”.
Il tabernacolo rimase all’esterno, ma a inizio ‘800, per evitare ulteriori danni da agenti atmosferici, fu inglobato nell’altare marmoreo realizzato a suo tempo da Lorenzo di Pietro detto il Marrina, scultore senese rinascimentale, a sua volta circondato di dipinti a tema mariano di Girolamo di Benvenuto e di Ventura Salimbeni. La chiesa è ricca di dipinti davvero notevoli, e anche di un portale di accesso realizzato da Giovanni di Stefano, ma ci sono due cose particolarmente curiose da sapere su questa struttura: la prima è che l’arcone dell’altare è in realtà la vecchia Porta di Pescaia, che fu murata negli stessi anni di quella di Bartolomeo Guerra, e si legge ancora molto bene il suo arco a tutto sesto. Inoltre, sopra alla porta di accesso, appeso al muro, si vede un osso di balena: strano oggetto davvero, ma si dice che fu donato alla chiesa, insieme ad altre curiosità, da Cristoforo Colombo che, di ritorno dai suoi viaggi nelle Indie, aveva voluto così omaggiare la Madonna a cui era particolarmente devoto durante il suo soggiorno universitario a Siena.