Cosa vedere nella contrada della Giraffa
Buongiorno e bentornati a Siena. Abbiamo deciso di fare una sosta di una settimana, perchè non ce la siamo sentita di andare online con un articolo su Siena e le sue contrade nei giorni in cui la città è diciamo stranita e spaesata dall’assenza del Palio, la sua e la nostra essenza. E’ stata una settimana strana, dal 29 giugno al 2 luglio si è creata una bolla temporale, una specie di vuoto in cui facevamo le nostre vite, andavamo ai nostri appuntamenti, e poi d’improvviso tornava in mente: ecco, il Palio non si corre, e capivi che eri tornato alla realtà. Beh, chi l’avrebbe detto che avremmo vissuto anche questo?
Eppure, Siena e le contrade restano, aspettano, e saranno pronte a ricominciare e patire e festeggiare come e più di prima, nel 2021.
Nel frattempo, oggi ci occupiamo della Giraffa, una contrada dal territorio relativamente piccolo, un popolo non numeroso, che aveva come nemica la confinante Contrada del Bruco, ma dall’ottobre 1996 è stata siglata ufficialmente la fine dell’inimicizia e le due contrade hanno ormai buoni rapporti di vicinato (anche se alcuni gruppi in entrambi i popoli continuano a guardare i vicini con occhio diciamo sospettoso). Anche per questo rione abbiamo identificato i tre MUST SEE, a partire da…
Le tre cose da vedere nella Giraffa
N°3: Madonna di Provenzano
Aspettate, calmi, lo so che siete già pronti a digitare commenti ingiuriosi. Il terzo posto non è per l’Insigne Collegiata, struttura che senza lotta meriterebbe l’oro non solo nel rione, ma forse nel Terzo. No, sapete che noi cerchiamo le minuterie, e non abbiamo mai inserito le grandi meraviglie all’interno delle nostre classifiche. Qui si parlerà della piccola terracotta che quasi si sperde nel mezzo all’immaginifico altare e alla ricchissima chiesa che Siena (e i Medici) le hanno costruito attorno.
La Madonna di Provenzano altri non è che un’immagine di terracotta dipinta, il volto di Maria, le sue spalle e poco più, incastonate in un busto d’argento di pregevole fattura apposto nel 1806. Se entrate in chiesa ve la trovate davanti agli occhi, ma è così piccola, appunto, che non ve la potete godere. Ecco il perché della sua presenza qui. La tradizione vuole che l’immagine sia stata commissionata da un Salimbeni che poi ne fece dono a tale donna Caterina, abitante del malfamato rione di Provenzano. Lei la murò nella facciata della sua casa, a mo’ di protezione, e lì rimase fino a quando, pare nel 1552, un soldato spagnolo di stanza a Siena (la guarnigione spagnola alloggiava in parte in San Francesco, e Provenzano era se possibile degradato ancora di più, diventando quartiere di bordelli e osteriacce), forse ubriaco, forse troppo nervoso, sparò contro l’immagine sacra. Ne rimasero integre solo la testa e le spalle, e subito si gridò al miracolo. Ma sui miracoli che hanno dato gloria e onore a questa immagine non ci soffermeremo, fatto sta che da subito fu venerata, addobbata con vestiti di vario colore e natura, fino a che a inizio ‘800 fu dotata di una veste neobarocca in argento, fissata con chiodi.
Parlando invece della sua iconografia, essa è stata del tutto svelata grazie ad un restauro effettuato finanziato dal Rotary Club di Siena e dal Monte dei Paschi nel 2000. In quell’occasione la statuetta fu tolta dall’altare, le fu asportato il “camice” d’argento e si ebbero numerose conferme. Intanto, la Madonna non era un semplice busto mariano, ma in origine rappresentava una vesperbild, o una Pietà (avete presente quella di Michelangelo?), immagine molto comune nel Medioevo soprattutto nei paesi nordici; del Figlio morto non rimaneva niente, solo la posa di Maria e un resto del braccio destro lo lasciavano intendere chiaramente. Ma, cosa ancora più sorprendente, la leggenda del suo ferimento non era una leggenda, perché nel centro del petto era ben leggibile un foro rotondo, chiuso con uno strato di cera, ora ingrigita, e protetto con del cotone probabilmente quando fu posta la camicia argentata. Sia la terracotta che la parte in metallo sono state ripulite, rivelando delle fattezze delicate e non banali, che adesso dopo il restauro si svelano in tutta la loro dolcezza.
N°2: Vicolo delle Vergini
Abbiamo detto che la zona di Provenzano era malfamata giusto? Ed infatti il nome di questa strada dimostra la presenza di fanciulle, ma forse la definizione che gli era stata data non calzava proprio a pennello. Partendo dall’inizio della storia, il quartiere era caduto in rovina quando, dopo il 1269, la sconfitta di Colle e la morte di Provenzan Salvani avevano decretato la caduta di questa famiglia e la distruzione del loro castellare ad opera dei rivali Tolomei. Tutta questa parte del colle di Ovile era diventata un rudere, con case basse e malridotte, bottegucce e calcinacci. Il colpo di grazia al quartiere fu inferto quando Don Diego Hurtado de Mendoza acquartierò la sua guarnigione spagnola in parte del convento francescano, per cui la zona si popolò di taverne e osterie e chiaramente di bordelli, riforniti ogni settimana di ragazze fresche, spesso di origine iberica per soddisfare i gusti dei soldati. Strada trafficatissima, quindi, anche la notte quando ai soldati si sostituivano le carrozze dei nobili e dei signori che venivano a scegliersi i bocconi più prelibati con discrezione.
In quegli stessi anni il ”pazzo di Cristo”, Brandano, andava predicando e predicendo alle mamme senesi che avrebbero visto le loro figliole andare tutte in Provenzano. Queste parole non furono accolte molto bene, la profezia fu interpretata come predizione nefasta di un futuro nel peccato, ma lui si riferiva alla Collegiata, nata in seguito al miracolo di cui abbiamo parlato, che avrebbe raccolto intorno a sé, supplicanti, le giovani e i giovani della città. Infatti, la presenza della chiesa e dell’immagine miracolosa, nata proprio a causa di quel degrado, risollevò le sorti del quartiere, e ancora oggi via delle Vergini è una strada tranquilla, centralissima ma discreta; dalla sua sommità inoltre si gode un panorama sui tetti e sulla Torre del Mangia impagabile.
N°1: Oratorio di San Bernardino
Quando ho pensato al territorio della Giraffa non ho avuto dubbi: l’oro sarebbe andato a questo piccolo Museo Diocesano, a cui si accede con il biglietto cumulativo dell’Opera del Duomo; non possiede però una biglietteria autonoma, ed essendo così decentrato non è quasi mai visitato neppure da chi potrebbe. È un vero peccato, meriterebbe maggiore attenzione: personalmente lo ritengo uno dei musei più belli di Siena. In poche sale, in poche opere, si svolge davanti ai vostri occhi la storia dell’arte senese, con chicche di assoluto pregio come un piccolo tabernacolo marmoreo del rarissimo Giovanni d’Agostino, una tavola con San Giorgio e il drago che era in San Cristoforo dipinta da Sano di Pietro nel 1444, la Madonna del latte di Ambrogio Lorenzetti, delle superbe tele di Bernardino Mei, una Pietà, anzi due (una dipinta e una in legno scolpito) del Vecchietta.
Ma a parte questo, si fa per dire, il Museo si trova nei locali dell’Oratorio della Confraternita di San Bernardino, sorta qui non appena il santo fu canonizzato nel 1449 ma attestata già da fine ‘200 col nome di Santa Maria Vergine. A inizio ‘500 (1518 per la precisione) i confratelli, dediti all’assistenza dei poveri, dei frati francescani e gestori anche di un piccolo spedale, decidono di ridecorare la loro sala capitolare con un ciclo di storie mariane commissionando gli affreschi ai maggiori pittori della Maniera senese: Domenico Beccafumi e il Sodoma. Ed è così che di fronte ai vostri occhi vedete dispiegarvi una magnificenza di colori e soluzioni prospettiche, in una gara fra i due che ha dato risultati superbi.
A pensarci bene, è l’unico ciclo pittorico in città dove possiamo apprezzare entrambi al loro meglio: Sodoma già affermato dopo gli affreschi a Sant’Anna in Camprena e Monte Oliveto, e soprattutto dopo quelli romani nella Stanza della Segnatura con Raffaello, Beccafumi da poco arrivato dalla provincia e appena messosi alla prova nella Cappella del Manto dello Spedale Senese. Assolutamente da non perdere, appena allenteranno le regole Covid che lo tengono chiuso, correte a visitarlo; per i cittadini senesi il biglietto è gratuito, fare il cumulativo anche solo per accedere a questo… non ha prezzo!