Cosa vedere nella contrada della Torre
Salve a tutti! Dopo un bel po’ di pausa (di cui mi scuso profondamente) vorrei riprendere il filo che ho bruscamente interrotto, e che ci vedeva legati alle contrade di Siena e soprattutto ai loro territori.
In questo periodo difficilissimo, che sta mettendo a dura prova il nostro morale, la nostra pazienza, la nostra resistenza e per molti anche le nostre finanze, credo che ritornare alle origini, riscoprire la nostra identità e le nostre radici serva per noi “indigeni” a rafforzare il senso di comunità, e per tutti ad ampliare i nostri orizzonti, se siamo persone innamorate del nostro paese o semplicemente vogliamo conoscere le bellezze che racchiude.
Quindi, con spirito diverso dall’anno passato, ma sempre con la voglia di parlare della mia bella Siena, ricomincio “paro paro”, diremmo noi, da dove ci eravamo lasciati: vi ricordate che Siena è divisa in tre Terzi, Città, Camollia e San Martino?. Poiché avevo iniziato questa avventura dalla mia contrada, il Nicchio, che appartiene al Terzo di San Martino, da quello ripartiamo, seguendo lo stesso ordine San Martino/Città/Camollia, così da esporre tutte e 17 le consorelle.
E, come succedeva prima, facciamo una personalissima classifica delle tre cose MUST SEE di ogni rione: di nuovo vi invito a scrivere se avete critiche, suggerimenti, proposte: Tuscany Planet e giuliatourguide hanno voglia di imparare!
Le tre cose da vedere nella Torre
N°3: Palazzo Vestri
Lo so che magari non lo avete manco sentito nominare, eppure gli spetta il bronzo solo perché davanti ha dei fuoriclasse del calibro di… beh vedrete.
Siamo in via Salicotto, sulla destra venendo da Piazza, passata la piazzetta Artemio Franchi, in un gruppo di edifici risparmiati dal risanamento edilizio attuato negli anni del regime fascista; questo palazzo progettato dall’architetto pratese Giuseppe Valentini ha oggi un intonaco giallo, ed in alto si può vedere un fregio in rilievo con delle figurazioni si dice “di soggetto classico e mitologico” che non sono riuscita ad interpretare (storie abbastanza tristi e quasi macabre: persone che scappano, persone che si uccidono, persone che trascinano cadaveri? Devo investigare).
Al primo piano una targa ci avverte che qui nacque nel 1840 Baldovina Vestri, amica personale di Teresita Garibaldi, figlia dell’Eroe dei Due Mondi, che si arruolò nelle file dell’esercito garibaldino e volle vestire la camicia rossa (tradizione dice donata dallo stesso Garibaldi) fino alla morte. Partecipò anche alla battaglia di Mentana del 1867 assistendo i feriti ed i soldati, e lo stesso fece durante la prima Guerra Mondiale come crocerossina. Morì a 92 anni nella Commenda del Campansi a Siena. Un altro garibaldino visse qui (una casa impregnata di spirito rivoluzionario!), Crispino Cavallini, che era coi Mille a Marsala e morì combattendo a Palermo nel 1860.
Ma a parte la targa, cosa ha di notevole questo palazzo? Dovremmo riuscire ad entrare (se trovate il portone aperto, fatelo!) per vedere una cosa più unica che rara, soprattutto a Siena: un accesso al primo ed al secondo piano… senza gradini! Si tratta infatti di una rampa elicoidale, antesignano di qualsiasi intervento di abbattimento delle barriere si possa oggi immaginare, pratico ed insieme elegante. Si dice che un inquilino del secondo piano, colpito da paralisi alle gambe, l’abbia voluta per potersi spostare da e per il suo appartamento… in groppa ad un cavallo! Pensavate forse in sedia a rotelle? Troppo banale, via.
N°2: Palazzo Piccolomini
Il primo palazzo rinascimentale a Siena, una committenza papale, un prestigioso architetto fiorentino: questo e altro è il Palazzo Piccolomini. Che intanto andrebbe chiamato Todeschini Piccolomini, visto che fu commissionato dai nipoti di Papa Pio II, Giacomo e Andrea, figli di Laudomia Piccolomini, sorella del pontefice, e di Nanni Todeschini da Sarteano. Fu chiamato perciò Palazzo dei Papessi o Papeschi, e non c’è discriminazione di genere perché esiste anche un Palazzo delle Papesse, ma si trova nell’Aquila e non ne parleremo adesso.
Siamo nel 1464 quando i due ottengono la concessione di alcuni terreni per fare un “palazzo in quadro” di stampo rinascimentale, ma le morti dello zio e del Rossellino bloccano i lavori, che proseguono poi dal 1469 al 1510 secondo il progetto dell’architetto fiorentino. I due nipoti decisero quasi subito di dividersi lo spazio, Giacomo prese la parte verso il Chiasso Largo, Andrea quella verso le Logge del Papa: erano queste logge aperte, orgogliosamente rivendicate da Pio II per la sua famiglia, erette quindi non per uso civico, e strettamente collegate al palazzo di cui erano un’appendice separata ma vicinissima, diciamo una “location outdoor” per gli eventi di famiglia.
Nel frattempo, l’altro fratello Francesco era diventato Cardinale e poi Papa col nome di Pio III, anche se morto a soli 25 giorni dall’insediamento nel 1503, ma tanto bastò perché nella imponente facciata a bugnato liscio, segnata da evidenti cornici marcapiano e delimitata dalla panca di via in basso e da un cornicione molto aggettante in alto (e qui si tratta di consuetudini fiorentine che per la prima volta appaiono in Siena), apparissero due stemmi di famiglia corredati di tiara papale e da un’iscrizione col nome dei due pontefici.
Già nel 1681 il palazzo non ospitava più la famiglia, ma divenne sede del Collegio Tolomei, una istituzione destinata all’educazione dei giovani rampolli nobili fondata circa 70 anni prima da Celso Tolomei. Il Collegio vi rimase fino agli inizi dell’800, quando, essendo il palazzo danneggiato gravemente dal terremoto del 1798, fu abbandonato a favore dell’ex convento agostiniano sito in Prato Sant’Agostino. Caduto quasi in rovina, acquistato dallo Stato, divenne sede dell’Archivio, voluto dai Lorena nel 1858, che ancora si trova al quarto piano dell’ala sud, insieme al bellissimo Museo delle Biccherne che vale certamente una visita. Vanno assolutamente notati gli anelli di ferro ed i battenti delle porte posti al piano terra, che uniscono lo stemma Piccolomini (il crescente di luna) e quello Todeschini (la pecora).
N°1: Sinagoga
E’ quasi invisibile, eppure è attaccata a Palazzo Pubblico, praticamente. Non ha certo l’appeal e le cupole iridescenti di quella fiorentina, costruita dopo l’Unità d’Italia. No, quella senese è stata realizzata quando ancora non si poteva essere ebrei, o meglio lo si poteva essere (e l’economia beneficiava della loro presenza, assolutamente!) solo a certe condizioni: mantenendo le distanze, sia fisiche che sociali, anzi spesso scomparendo.
Si chiamano sinagoghe pre-Emancipazione, quando i luoghi di culto dovevano rimanere anonimi, e infatti anche oggi, se non fosse per le targhe appese fuori e per delle finestre al secondo piano dalle forme alquanto inusuali, penseremmo di trovarci di fronte ad un dignitoso palazzo privato costruito qualche secolo fa. Mi piace quindi, al contrario, darle il posto d’onore nel rione della Torre che in queste strade vedeva sorgere, nel 1571 e per volere di Cosimo I de’ Medici, il ghetto di Siena.
Perché qui? Varie zone della città furono prese in considerazione, anche Fontebranda, ma qui si avevano molteplici vantaggi: innanzitutto un quartiere facilmente delimitabile, che la notte aveva cancelli sbarrati e guardie alle porte; poi questa era già una zona popolare, diciamo, e non si volevano certo mischiare gli Ebrei coi facoltosi commercianti di tessuti o coi macellai che stavano sotto al Costone.
Inoltre, la vicinanza di Piazza del Mercato garantiva la possibilità per mercanti e acquirenti di beneficiare di prestiti o intermediazioni per cui gli ebrei erano famosi. Bisogna ricordare però che gli Ebrei si specializzavano spesso in prestiti e gioielli: infatti, a parte il famoso peccato di usura che vietava ai cristiani il prestito per denaro (eppure, Siena era una città di banchieri, no?), non potendo avere proprietà immobili né fondiarie, non potendo fare gli artigiani, ed essendo spesso costretti in case minuscole, nonché spesso a rapide fughe, dovevano, quei pochi che potevano, accumulare o denaro liquido o merci facilmente trasportabili. Ultimo motivo ma non ultimo, siamo ad un tiro di schioppo dal Palazzo dove la Balìa esercitava comunque il controllo amministrativo della città, anche sotto la dominazione medicea, quindi qualsiasi situazione dubbia o critica poteva essere sedata immediatamente.
La comunità senese, mai molto numerosa, successivamente alla Seconda Guerra Mondiale, ormai ridotta a poche decine di unità, si è unita a quella fiorentina, ed in Sinagoga i riti si celebrano una volta al mese. Per il resto l’edificio è visitabile (gli orari ed i costi delle visite guidate sono consultabili online), e sarete stupiti da quanto assomiglia ad una chiesa ad aula unica tardo barocca: a parte le comprensibili differenze dovute alle diverse liturgie (il matroneo per le donne, essendo una comunità ortodossa sefardita, e l’Armadio per i Rotoli della Torah) stucchi e dorature sono gli stessi che forse le stesse maestranze avevano portato a termine, nello stesso stile, qualche anno prima nell’Oratorio di san Gaetano da Thiene nel Nicchio.
Il Tempio fu solennemente inaugurato nel 1756, quando le aperture legislative degli Asburgo Lorena consentirono anche agli ebrei di possedere proprietà private. Il cimitero ebraico, invece, si trova fin dalla fondazione della Comunità in via del Linaiolo, fuori città, ed è anch’esso visitabile. Per la storia, tragica e emblematica, degli Ebrei a Siena dal ‘700 al ‘900 vi consiglio di fare una visita guidata alla Sinagoga, per scoprire una parte così importante della nostra storia.