Cosa vedere nella contrada della Lupa
Eccoci di nuovo nel Terzo di Camollia, e stavolta visitiamo la contrada fortunella che in tre anni ha vinto tre pali di cui due nel 2016 facendo uno storico cappotto, e non un semplice cappotto: lo stesso cavallo, Preziosa Penelope, le è toccato in sorte entrambe le volte, ed è stato montato sia a luglio che ad agosto dallo stesso fantino, Scompiglio. Ero in piazza del Duomo quel 16 agosto, e veder arrivare entrambi i drappelloni insieme per il ringraziamento alla Madonna Assunta col canto del Maria Mater Gratiae, circondati da una folla dove molti avevano già indossato un cappotto, fu davvero toccante, uno spettacolo di gioia e orgoglio contradaiolo che colpiva al cuore e rendeva anche, lasciatemelo dire da nicchiaiola, un po’ invidiosi.
(Se non sapete che cos’è un cappotto forse lo avete intuito: la stessa contrada vince sia a luglio che ad agosto)
Ma questo è il Palio, e adesso bando alle ciance e vediamo cosa ci riserva questo rione spalmato in ripida salita fra Porta Ovile e la Francigena, un po’ come il vicino Bruco. Come sempre la classifica è assolutamente personale, quindi se avete suggerimenti o commenti non esitate a scriverci attraverso le nostre pagine Facebook e Instagram. Ed ora, partiamo dalla medaglia di bronzo.
Le tre cose da vedere nella Lupa
N°3: La Consuma
Pur essendo uno dei luoghi di Siena più emblematicamente legati a Dante Alighieri e alla sua Divina Commedia questo palazzo sarà probabilmente escluso dagli innumerevoli tour “Dante a Siena” che fioccheranno l’anno prossimo, per il 700nario della morte del Poeta, perché il luogo rimane fuori dal centro storico e in una zona defilata, nonché ad oggi molto trafficata. Per questo volevo inserirlo come “luogo notevole”: si tratta del cosiddetto Palazzo della Consuma che, come ricorda anche la targa apposta nel 1921, sarebbe il luogo dove un gruppo di ragazzi e ragazze della “Siena bene” decise di riunirsi con l’unico scopo di sperperare tutto il proprio patrimonio.
Se vi viene in mente il paragone colla famosa “Milano da bere” siete molto vicini… Dante li cita e li sbeffeggia nel XXIX canto dell’Inferno, ma aveva già nominato un componente nel XIII canto, nel girone, manco a dirlo, degli scialacquatori, Arcolano da Squarcia di Riccolfo Maconi. Stricca e Niccolò dei Salimbeni, Niccolò dei Buonsignori, Bartolomeo dei Folcaccheri detto l’Abbagliato, e Caccia Cacciaconti della Scialenga, detto Caccia d’Asciano sono presi dal Poeta a modello negativo: “or fu gente sì vana come la senese? Certo non la francesca sì d’assai!”. I giovinetti, appartenenti alle più facoltose famiglie senesi di parte ghibellina, dopo che il governo della città virò al guelfo (siamo negli anni 70-80 del 1200) decisero di fondare una vera e propria “brigata spendereccia” il cui statuto era molto semplice: dato un fondo cassa comune, dove si dice che ognuno dovesse versare l’equivalente di 15.000 euro attuali, tutto fu dilapidato in feste, bagordi, cibo, divertimenti di qualsiasi natura.
Una volta finiti tutti i soldi, la targa dice un totale di 200.000 fiorini d’oro (!), la Brigata si sciolse. Parla di queste brigate diciamo dedite alla bella vita, oltre che Dante, anche Boccaccio nella nona novella della sesta giornata, quindi, come per tutte le leggende, un fondo di verità ci deve essere. Che differenza fra i savi e costumati, direi noiosi giovinetti e giovinette fiorentini tutti intenti a raccontarsi novelle edificanti e divertenti, e questi bischeri di senesi che si sono spesi tutto! Eppure, si saranno divertiti secondo voi? Il palazzo, che ha forme goticheggianti, nel tempo ha ospitato anche uno Spedale intitolato a Sant’Orsola e fino al 1785, anno della soppressione, l’oratorio dei SS. Crispino e Crespignano. Il giardino che si vede accanto non è di sua pertinenza ma è collegato alla Villa Rubini Manetti che si affaccia sulla strada superiore, ma lì siamo nell’Istrice, ed è un’altra storia.

N°2: Barriera di San Lorenzo (Le Lupe)
Si sa che a noi senesi piace dare soprannomi alle persone, ai fantini, ai posti: forse così li sentiamo più vicini, più “di famiglia”. E questo è il motivo della parentesi nel titolo: la medaglia d’argento va alla Barriera di San Lorenzo, ma io stessa ho saputo che si chiamava così quando ero già maggiorenne. Prima era, semplicemente, Le Lupe. Facile a capirsi: in alto, a destra e a sinistra di quei muraglioni, stanno due lupe in bronzo, realizzate da Fulvio Corsini negli anni ’30 al posto di quelle in gesso poste nel 1887 in occasione della visita in città dei Reali Umberto e Margherita di Savoia. Ma perché si chiama “barriera di San Lorenzo”? E soprattutto, come mai è in questa lista quando si tratta di un punto di passaggio, spesso abbastanza squallido, e di sicuro non valorizzato? Innanzitutto qui fin dal 1230 c’era una porta cittadina, chiamata poi Porta San Lorenzo dal vicino convento di suore francescane la cui chiesa fu inaugurata a fine ‘200 e dedicata a questo santo. Da piazza del Sale la strada arrivava in un saliscendi continuo fino alla porta, ma non era lastricata, c’erano poche case e infine a inizio ‘500 la porta fu murata, quindi si trattava di una strada chiusa che fu usata per opifici anche importanti come la Tira de’ Panni di Lana, nel Medioevo, o la fabbrica di ferro battuto di Pasquale Franci fra ‘800 e ‘900.

Quando cambia l’aspetto della strada, e della barriera? Quando si decide di costruire proprio qui la Stazione Ferroviaria, inaugurata alla presenza del Granduca Leopoldo II nel 1849. La linea ferroviaria collegava Siena a Empoli e quindi alla Leopolda a Firenze, e per arrivare comodamente in stazione la strada fu livellata e lastricata. Il collegamento ferroviario fu fortemente voluto dalla Società Anonima della Strada Ferrata Centrale Toscana, istituzione animata principalmente dai due ingegneri Policarpo Bandini e Giuseppe Pianigiani, ed era una stazione “di testa”, come oggi è Santa Maria Novella a Firenze. Chiaramente le mura medievali furono aperte maggiormente e ciò provocò le lamentele dei senesi: secondo loro la città era troppo indifesa “contro una nemica invasione”, pensate un po’. Comunque a difesa dei cittadini fu posto un cancello, realizzato dalla ditta Franci, perché fino al 1930 qui c’era una postazione della cinta daziaria. La Barriera era il biglietto di presentazione della città per chi arrivava dalla stazione, e si decise di porre sotto alle Lupe la scritta SPQS: Senatus PopulusQue Senensis. Solo pochi anni dopo, nel 1935, fu spostata la stazione in basso, nella valle di Malizia, e fu realizzata su progetto di Angiolo Mazzoni in classico stile razionalista fascista: era questa volta una stazione “di transito”, quella che abbiamo ancora adesso, anche se con qualche variazione dopo i bombardamenti della II Guerra Mondiale. Ma la linea ferroviaria che ci collega a Firenze è, purtroppo per noi, sempre la stessa.
Tornando alla Barriera, è strano pensare come questo luogo, dove ora passiamo sfrecciando sulle nostre auto per entrare o uscire dalla città, sia stato il cuore pulsante della rinascita di Siena, collegandola alla modernità e permettendo una sostanziale crescita economica grazie all’arrivo di lavoratori e turisti dalle zone vicine, e non solo; eppure molta della ricchezza di Siena è passata da qui.
N°1: Fonte Nuova
La vittoria non può non andare alla meravigliosa architettura che si alza a destra di via del Pian d’Ovile: quando uno esce da Vallerozzi attraverso il vicolo del Lavatoio se la trova proprio di fronte, Fonte Nuova.
La struttura attuale sostituisce una fonte precedente, che era già attiva alla fine del 1100, quindi in contemporanea con la cosiddetta Fonte Vecchia posta fuori Porta Ovile ed oggi molto al disotto del livello stradale. Certo questa era più comoda, e più sicura, essendo all’interno della cinta muraria, e fu appunto ristrutturata in stile gotico su progetto di Tino di Camaino e Sozzo di Rustichino a fine ‘200. La zona era ricca di opifici di pellicciai e lanaioli, quindi i cittadini richiesero un afflusso d’acqua costante che proveniva da un apposito bottino lungo 800 metri, ed era anche fondamentale avere una fonte appropriata all’uso frequente che se ne faceva.
Sulla base rettangolare si alza l’edificio in laterizio, che aveva in alto una merlatura come quella di Fontebranda. Sopra fu costruita anche la casetta del custode, collegata alla strada da un ponticello, tuttora esistente, che dona alla fonte un’aria aggraziata e molto particolare; a inizio secolo accanto alla casetta si poteva vedere addirittura un orto. Presenta inoltre tre arconi a sesto acuto, due su un lato e uno sull’altro, che danno origine a un soffitto a volte costolonate fra i più belli che ci siano a Siena.
La Fonte è stata restaurata da una ventina d’anni, le due vasche sono state impermeabilizzate e la copertura risanata, e per alcuni anni nella ex casetta del custode la Contrada della Lupa ha organizzato mostre di arte contemporanea (nonché, in occasioni particolari, anche carinissime “zone bar” degne delle migliori terrazze fiorentine). La piazzetta di fronte alla fonte, nella parte più bassa, spesso nascosta ai più da un parcheggio sempre affollato perché gratuito, è utilizzata per cene e cenini dalla contrada, ed è un piccolo angolo di tranquillità anche se chiuso da due strade trafficatissime, dove il suono dell’acqua che scorre, come nel Medioevo, dai bottini fino alla fonte, ed i giochi di luce che si riflettono sulle volte creano un’atmosfera magica.
