Cose da vedere nella contrada del Nicchio
Eccoci qua, adesso finalmente si fa sul serio, oggi, con la contrada del Nicchio, inizia il nostro viaggio tra le contrade di Siena.
Dopo l’estrazione di domenica, che ha visto unirsi alle sette di diritto le contrade di Giraffa, Chiocciola e Drago, si cominciano a delineare i contorni della carriera di luglio. La Tartuca invece, come prima estratta, sconta uno dei due Palii di squalifica.
A tutto questo tripudio purtroppo non si aggiunge quello della mia contrada, il Nicchio, che non essendo stata estratta può solo sperare in una eventuale estrazione a luglio per scontare il suo palio di qualifica quest’anno ed essere di nuovo protagonista nelle due carriere del 2020.
In suo onore, comunque, cominciamo proprio dal rione di Pispini il nostro viaggio fra i territori delle 17 consorelle, selezionando in ognuno i 3 MUST SEE. Ripeto, scelta assolutamente parziale e soggettiva, che spero trovi un riscontro positivo fra gli amici contradaioli.
Le 3 cose da vedere assolutamente nel Nicchio
Andiamo in ordine “di podio”, cominciando dalla medaglia di bronzo.
N°3: Chiesa di Santo Spirito
Questa splendida chiesa ha l’intitolazione ufficiale a San Maurizio in Santo Spirito, e sicuramente era qui, non con questa forma, fin dal XIII secolo: il primo documento risale al 1317 quando era officiata dai Monaci Silvestrini. Si susseguono vari ordini fino al 1480, quando arrivano i Domenicani. Non dovevano avere una vita proprio irreprensibile se addirittura gli abitanti del quartiere si lamentano (altro che “Cacio e Pere!”) ed il generale dell’Ordine, da Firenze, manda un uomo di fiducia con altri venti confratelli, nientemeno che tale Domenico Savonarola. Arrivano da Firenze il 21 giugno del 1494 ma già nel pomeriggio nasce un tumulto popolare, forse sobillato dalla famiglia Petrucci che aveva dei protetti in convento. Fatto sta che nottetempo i frati fiorentini sono costretti a fuggire, e pochi anni dopo i frati (in realtà Pandolfo Petrucci, all’epoca “signore” di Siena, che in qualche modo aveva un protettorato sulla chiesa) chiamano Francesco di Giorgio Martini per rifare il monastero, mentre al Cozzarelli viene dato l’incarico di rifare la chiesa con lo spettacolare tiburio che vediamo adesso sopra l’incrocio dei due bracci.
L’uso dei contrafforti laterali e del laterizio puro la rende forse l’unica chiesa pienamente rinascimentale di Siena. Il portale in travertino (sulla cui sommità prima troneggiava lo stemma Petrucci, ora sostituito da una più innocua colomba dello Spirito Santo) è realizzato su commissione del Vescovo di Pienza Girolamo Piccolomini nel 1519, probabilmente su disegno di Baldassarre Peruzzi.
Il convento, che ha spazi enormi, viene soppresso nel 1783 e diventa un’Università ecclesiastica, poi dopo le soppressioni francesi vi tornano prima i Carmelitani Scalzi poi di nuovo i Domenicani, finchè nel 1899 diventa carcere giudiziario, destinazione che mantiene ancora oggi.
La chiesa invece, dopo esser stata per diversi anni chiesa parrocchiale, adesso è praticamente sempre chiusa e quasi impossibile da visitare. L’ultima occasione c’è stata il cinque aprile scorso per il restauro, avvenuto a spese della mia Contrada, della tela dipinta da Francesco Vanni che rappresenta San Giacinto che resuscita un bambino affogato, che si trova nella cappella Bargagli, nel transetto destro.
Questo è un vero peccato, perchè la chiesa è magnifica, con interno ad aula unica con copertura a botte e otto cappelle laterali, più due maggiori che costituiscono i bracci del transetto cupolato. Ed è storicamente rilevante perchè durante l’occupazione spagnola le truppe di Don Diego de Mendoza la elessero a chiesa titolare, e soprattutto una cappella, la prima a destra, ancora oggi nota come Cappella degli Spagnoli. La cappella infatti era quella patrocinata dalla Nazione Spagnola (cioè dal gruppo di studenti spagnoli frequentante l’Università di Siena) e dipinta da Antonio Bazzi detto il Sodoma intorno al 1530. Se la tela centrale è posteriore e del tutto fuori contesto, gli affreschi del pittore vercellese sono ancora una meraviglia per gli occhi: nel timpano, S. Giacomo patrono degli Spagnoli che cavalca sui vinti Saraceni, e, sotto, un S. Sebastiano e un S. Antonio abate mentre sopra l’altare c’è una lunetta, su tavola, con la Madonna che assistita dalle ss. Rosalia e Lucia, dà a s. Ildefonso l’abito domenicano e altre due tavole rappresentanti S. Niccolò da Tolentino e S. Michele arcangelo. Si dice che Carlo V, in visita a Siena nel 1531, ammirasse così tanto gli affreschi da fare il pittore “Conte Palatino”, ma non ci sono documenti in merito.
Il bronzo è dovuto solamente al fatto che la chiesa è invisibile per i contradaioli, i cittadini e ai turisti, e vuole essere una “reprimenda” verso chi di dovere tesa a renderla di nuovo fruibile a tutti.
N°2: Giardino dei Profumi
Siamo appena dentro Porta Pispini, nella piazzetta intitolata al nicchiaiolo Mario Cioni, e sulla destra si erge il cancello che conduceva al presidio militare, e che è stato l’ingresso principale per i mezzi della caserma di Santa Chiara fino alla sua chiusura e dopo il riposizionamento della fontana dei Pispini nella sua collocazione originaria, di fronte cioè al vecchio ingresso da via di Santa Chiara, nel 2001 (dal 1937 si trovava, proprio per consentire il passaggio dei mezzi militari, in piazza Santo Spirito: se ne vede ancora la pianta esagonale).
Se il portone blocca la visuale del meraviglioso bastione progettato da Baldassarre Peruzzi, quasi di fronte un umile cancellino, aperto dalle 10 alle 19, ci introduce a questo angolo di tranquillità dentro la città. E’ stato ribattezzato “Giardino dei Profumi”, forse, e questo è un mio pensiero diciamo “poetico”, in ricordo dei profumi sprigionati dai saponi artigianali che le donne usavano per lavare i panni ai lavatoi, le cui vasche sono state ben restaurate pochi anni fa.
Se liscivia, Sapone di Marsiglia e cenere sono ricordi lontani, oggi già dall’ingresso, in cima alle scale, si può godere di un panorama mozzafiato, che valorizza la cerchia muraria da Porta Pispini (la cui vista da questa angolazione è a dir poco superba) fin quasi a Porta Romana, e che abbraccia la valle lussureggiante fino, a destra, a includere i giardini della Pania, sede della società del Nicchio. Ed è proprio la contrada che si incarica di aprire e chiudere il cancellino, ogni giorno, da aprile a settembre, offrendo una piccola oasi di verde a cittadini e turisti.
Come si è detto, qui c’erano le fonti, realizzate dal Comune a inizio del ‘900 per ovviare a condizioni igieniche, soprattutto nei quartieri più poveri e popolosi come quello dei Pispini, davvero pessime. Con lo scoppio della Spagnola, nel 1919, queste fonti servirono quindi a evitare una diffusione dell’epidemia ed un contagio ancora maggiori, poi dal secondo Dopoguerra rimasero inutilizzate e cominciò un lento degrado, fino a che nel 2018 sono state riaperte, e potrebbero essere il punto di partenza di un percorso di trekking urbano che arrivi fino a Porta Romana.
L’argento se lo merita tutto questa piccola oasi urbana, e speriamo che sia visitata sempre di più.
N°1: Chiesa di San Raimondo al Refugio
Il podio, la mia chiesa del cuore a Siena: San Raimondo al Refugio. Da brava storica dell’arte medievista, che a Roma si sente spersa, quasi sopraffatta, in tutto quel barocco, sono andata a innamorarmi di questo gioiello, la chiesa più romana di Siena, da poco restaurata e tenuta meritoriamente aperta dal Touring Club di Siena due mattine a settimana, il mercoledì ed il sabato.
Durante gli anni universitari la facciata era prima annerita e opaca, poi coperta da ponteggi; anni dopo, passando, sono rimasta abbagliata da quel bianco accecante, come solo Provenzano: marmo di Carrara, non il più fragile e popolare bianco della Montagnola (eppure così bello sul nostro Duomo), regalo di Fabio Chigi, alias Papa Alessandro VII, alla sua “chiesa di famiglia”. Ma andiamo con ordine.
A fine ‘500 due fratelli della famiglia Chigi, Agostino e Aurelio, seguono strade del tutto diverse: il primo, letterato di fama locale, a soli 36 anni diventa Rettore del Santa Maria della Scala (il limite minimo per tale carica era 40); il secondo, non sapendo quale strada intraprendere, frequenta varie università ma senza successo, poi prova ad entrare in diversi ordini religiosi ma viene puntualmente cacciato, finché l’incontro con padre Matteo Guerra non gli svela la sua missione. E’ così che Aurelio si fa sostenitore dell’iniziativa caritatevole di tale Domenico Billò, un umile cenciaiolo, che voleva istituire una comunità per giovani orfane e senza dote in modo da salvarle dalla strada. Grazie al sostegno e ai soldi dei Chigi la Congregazione delle Povere Abbandonate, fondata nel 1586, fiorisce e si allarga, e ad essa si unisce dopo poco la Congregazione delle Vergini del Soccorso per le giovani appartenenti a nobili famiglie decadute.
Prima Domenico, che muore nel 1593, e poi Aurelio, che muore nel 1611 ed è seppellito nella chiesa stessa, acquistano vari palazzi vicino a Porta Romana, tra cui il Palazzo di San Galgano dai monaci cistercensi, e si costruisce la chiesa dedicata a San Raimondo da Penyafort, santo vissuto nel Trecento ma appena canonizzato e molto “di moda” all’epoca. La chiesa risulta già terminata nel 1600, e per adornarla vengono chiamati i pittori più in auge nella Siena del periodo: Alessandro Casolani, Ventura Salimbeni, Francesco Vanni, Rutilio Manetti, più altri artisti minori e provetti intagliatori e stuccatori. Essendo dedicata alle preghiere di giovani fanciulle, ma pure aperta al pubblico, la chiesa ha, al suo ingresso, una bellissima cancellata lignea che divideva appunto le ragazze dal popolo maschile che sicuramente accorreva numeroso per le funzioni. Ma se vale il detto “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” (ricordo che il prete officiava spalle al popolo ed occhi all’altare) le educatrici potevano osservare il comportamente delle educande da un foro praticato su una vela della volta.
Questa chiesa, seppure dedicata al santo catalano, conserva solo due piccole tele, laterali all’altare, che raffigurano due suoi miracoli; al centro dell’altare maggiore troneggia la Natività con angeli, iniziata dal Casolani ma terminata dopo la sua morte, nel 1607, dal Vanni. Invece gli altari laterali sono dedicati quello di destra a Santa Caterina da Siena e quello di sinistra a San Galgano, con una evidente volontà di glorificazione di due dei maggiori santi locali. A destra tre tele illustrano rispettivamente le Nozze mistiche di Santa Caterina (Francesco Vanni, 1601) e ai suoi lati Gesù restituisce l’abito a Santa Caterina e Santa Caterina dona l’abito al povero (di Sebastiano Folli). Sulla sinistra la pala d’altare al centro raffigura la Morte di San Galgano (forse collaborazione fra Salimbeni e Vanni), mentre ai lati vi sono due precoci opere (1613) di Rutilio Manetti con San Michele arcangelo appare a San Galgano e I parenti cercano di distogliere San Galgano dalla vita eremitica.
La chiesa fu ideata, costruita e arredata, con tutto il suo apparato di stucchi bianchi e dorati e di tele, nel breve arco di circa trent’anni, con l’evidente volontà di creare un insieme organico che, caso più unico che raro a Siena, non ha subito alterazioni nel corso dei secoli (grazie al continuo patronato della famiglia Chigi, che è durato fino almeno agli inizi del ‘900) mantenendo tutto il suo splendore. Entro il 1660, a cinque anni quindi dalla sua elezione a pontefice, Fabio Chigi, nipote di Aurelio e Agostino, dona alla chiesa una maestosa e preziosissima facciata in marmo di Carrara con al suo apice, rialzato di un ordine rispetto a quello originario, lo stemma della famiglia coronato dalla tiara papale, ed incarica l’architetto Benedetto Giovannelli Orlandi di creare per tale meraviglia un accesso scenografico costruendo due case identiche ai lati della strada in discesa che ancora adesso conduce alla chiesa (Via del Refugio). Questa trovata farà scuola a Siena e saranno aperte strade in discesa altrettanto scenografiche e baroccamente teatrali di fronte a Provenzano, a San Pietro a Ovile e a Santa Maria in Portico a Fonte Giusta.
In realtà una parte non originale all’interno della chiesa c’è, si tratta del soffitto: durante il terremoto del 1798 che così duramente colpì la città provocando ingenti danni a moltissime strutture e 4 morti, il soffitto della chiesa di San Raimondo crollò sopra due fanciulle che si erano attardate a pregare, uccidendole, e per questo fu rifatto agli inizi dell‘800. L’evento è ancora visibile in un ex-voto conservato, insieme ad altri capolavori di arte senese, nella sacrestia della chiesa, anche se più che un ringraziamento sembra quasi un atto di accusa per la morte di queste due povere innocenti.
Potrei continuare ancora e ancora ad elencare le particolarità e le meraviglie racchiuse in questo piccolo scrigno di arte senese, ma non voglio togliervi la sorpresa ed il piacere di scoprirle visitandola di persona.
Appuntamento alla prossima scoperta!